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Investire in sostenibilità. Scelta strategica e lungimirante

Ago. 3 2022

Sembrano lontanissimi i dibattiti – così accesi – che alla fine del millennio hanno animato il panorama dei media tra coloro che avvertivano quanto fosse serio il fenomeno del cambiamento climatico e coloro che invece si dicevano scettici o addirittura avevano posizioni negazioniste. La tendenza oggi è radicalmente mutata.

La maggioranza della popolazione europea è conscia della necessità di adottare un approccio sostenibile, preoccupata dagli effetti estremi del climate change sulla quotidianità: il 93% crede che sia un problema “serio” e il 78% che sia “molto serio”. Così almeno quanto emerge da un sondaggio condotto da Eurobarometro sui 27 Stati dell’Unione nel 2021. 

Inoltre, è da qualche anno che i principali analisti, leader ed esperti economici mondiali – sollecitati dal World Economic Forum – indicano le trasformazioni climatiche fra i più gravi rischi ai quali va incontro il mondo nei prossimi anni. Nell’edizione del 2022 del Global Risk Report, su dieci potenziali criticità, ben cinque hanno riguardato temi correlati al climate change e all’impatto negativo dell’azione umana sull’ambiente. 

Rispetto alla fine del secolo scorso, la consapevolezza di istituzioni e privati – tra cui le organizzazioni aziendali – della necessità di scegliere una via sostenibile è andata oltre la questione ambientale. Ha coinvolto altri aspetti come quelli sociali e di (buona) gestione, includendo anche il più ampio concetto di responsabilità. Tutto ciò è sintetizzato dalla sigla ESG, ovvero Environmental, Social, Governance. 

La legislazione, specialmente quella comunitaria, sta divenendo sempre più stringente e dettagliata in merito a ciò che è da considerare conforme a criteri di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale e ciò che, invece, non lo è. E le conseguenze di tali politiche su un ampio ventaglio di attività saranno, sempre più, profonde come già evidenzia il Regolamento 2020/852 meglio noto come Tassonomia.

Alcune aziende, dal canto loro, si stanno preparando. E non solo perché obbligate dal rispetto di normative o regolamenti, ma anche in forma libera perché convinte che puntare sulla sostenibilità sia non solo una questione che attiene all’etica – ragione importante e tuttavia privata – ma una decisione strategica, lungimirante e conveniente per il business. Se qualche anno fa le questioni riguardanti la sostenibilità avevano una ricaduta di medio periodo, oggi – con gli aspetti socio-ambientali in primo piano – hanno il carattere dell’urgenza. Per almeno due ordini di ragioni. La prima guarda alle nuove esigenze del consumatore finale che oltre a richiedere prodotti in sé sostenibili, è orientato verso quei brand che hanno scelto la sostenibilità come modello produttivo. Una ricerca di EY e SWG presentata alla fine del 2021, mostra come un italiano su due è attratto da marchi rispettosi dell’ambiente e uno su tre da quelle aziende che si comportano in modo etico nei riguardi di dipendenti e fornitori. Dati interessanti emergono anche da un’inchiesta Ipsos-Intesa San Paolo: oltre due terzi dei nostri connazionali preferiscono acquistare prodotti sostenibili. Se per il 54% accade occasionalmente, il 20% del campione dice di farlo regolarmente. Non solo, sia gli uni che gli altri si dicono disposti a pagare fino al 7% in più per una merce con basso o nullo impatto negativo.   Al di là di comportamenti non sempre coerenti tra quanto affermato e quanto poi messo in pratica al momento dell’acquisto, la sostenibilità è ormai un valore sul quale si fondano le decisioni, al pari della qualità e del prezzo.

La seconda ragione chiama in causa la supply chain. Le aziende che vogliono presentarsi con le carte in regola ai consumatori dovranno prediligere fornitori in grado di rispettare standard e criteri ESG. Un approccio che – va da sé – si ripercuoterà a cascata su tutta la catena di fornitura e su quei soggetti che si candidano a esserne gli anelli. 
Quindi, la pianificazione strategica della sostenibilità si configura come una priorità per le aziende, sia in ottica B2C che B2B. Le organizzazioni sono chiamate a dimostrare in modo trasparente, misurare e rendicontare le proprie performance ESG e i relativi impatti. Ma come muoversi?

Il punto non è solo da dove partire per imbastire una tale strategia ma anche quale modalità adottare per agire in maniera coerente ed equilibrata. Considerando la complessità del tema e il coinvolgimento tanto dei diversi livelli aziendali come dei fornitori, il modo migliore è quello che prevede un graduale e progressivo approccio, con un grado di “difficoltà” e un approfondimento crescenti. 

In questo modo è possibile prima progettare e poi realizzare un percorso che dura nel tempo, durante il quale saranno coinvolti differenti soggetti quali la proprietà, il management, il personale e i fornitori, al fine di dare forma a una consolidata strategia di sostenibilità, coerente con la pianificazione aziendale e con azioni di miglioramento correlate sia ai già menzionati criteri ESG sia agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU (SDGs).
Grazie a questa modalità progressiva è anche possibile preparare e sviluppare le più adeguate azioni di comunicazione, interna ed esterna, in termini di sostenibilità, così da valutare a fondo i rischi correlati alla filiera dell’organizzazione. 

In questo contesto, Bureau Veritas Nexta offre un servizio di assesment iniziale della sostenibilità finalizzato a fotografare il livello delle attività di pianificazione, rendicontazione e comunicazione della sostenibilità dell’azienda e conoscere il posizionamento della concorrenza di settore. Si tratta di uno strumento di valutazione finalizzato a stabilire l’attuale livello di gestione, rendicontazione e comunicazione della sostenibilità dell’azienda, il grado di rilevanza dei temi legati alla sostenibilità rispetto alle attività e identificare rischi e opportunità in ambito ambientale, sociale e di governance, anche rispetto ad un benchmark e a best practice nel settore di riferimento. A quel punto è possibile avere un quadro chiaro dei gap esistenti e definire le aree di miglioramento e le relative priorità d’azione.

L’assesment della sostenibilità non è un rating ESG, ma è uno strumento per indirizzare le aziende verso il più adeguato percorso di rendicontazione. Senza dimenticare la parte di comunicazione della sostenibilità. 

I principali vantaggi di questo sistema? Avere una chiara definizione delle aree prioritarie di intervento e dunque di identificare il percorso di rating ESG più adeguato all’azienda e ai suoi obiettivi di posizionamento. Inoltre, permette di realizzare una partecipata attuazione, a tutti i livelli, delle azioni in tema di sostenibilità, anche per quanto concerne il coinvolgimento della supply chain. 

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