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Reti gas, trasporto dell’idrogeno e nascita di un mercato fra tecnologia e normativa

Feb. 15 2022

È di qualche giorno fa la notizia dell’ampliamento della base associativa dell’European Hydrogen Backbone, l’iniziativa nata nel 2020 per volontà del consorzio Gas for Climate e che raccoglie i più importanti distributori europei di gas naturale. Scopo di EHB è dare vita a un’infrastruttura di rete che, sfruttando in parte quanto già esiste, diventi la spina dorsale della distribuzione d’idrogeno nel Vecchio Continente da qui al 2040. Partiti in 11 soggetti associati, ora se ne contano 29, per 39mila chilometri di pipeline e una copertura teorica di 21 Paesi, rappresentativi di una buona parte del territorio Europeo: dalla Scandinavia fino a Portogallo e Grecia, senza dimenticare il nostro Paese (con la presenza di Snam).

Tra i nodi alla cui risoluzione è vincolato il successo dell’idrogeno come vettore energetico del prossimo futuro (oltre alla scalabilità dei sistemi elettrolizzatori per produrlo) vi è quello del trasporto. Infatti, se l’opzione di creare da zero o quasi una rete di distribuzione è, in termini astratti, possibile, nel concreto, essa risulta oltremodo proibitiva tanto per tempi di realizzazione che – e soprattutto – per costi da sostenere.

Una strada sarebbe quella di dare vita a una rete locale di impianti di produzione, così da limitare o annullare il problema del trasporto. Si tratta di una scelta in sé apparentemente valida, ma che pone importanti interrogativi sulla gestione della sicurezza di ogni impianto, che sappiamo deve essere molto stretta.

Un’altra ipotesi prevede la presenza di un numero limitato di siti produttivi e, per l’appunto, l’utilizzo di una quota delle condutture in cui oggi passa il gas naturale. Questa via – certamente più percorribile – comporta comunque interventi, anche rilevanti, sulle infrastrutture esistenti per adeguarle al nuovo elemento. Almeno il 70% dei gasdotti esistenti risulta compatibile al trasporto di idrogeno puro, mentre gli impianti di compressione lo sarebbero per percentuali di idrogeno dell’ordine del 10%. Oltre questa quota, si rendono necessarie modifiche o sostituzioni di macchine (Report Confindustria, 2020).

Come accennato, si immagina di iniziare miscelando l’idrogeno al gas naturale, partendo da percentuali basse per poi crescere nel corso del tempo: da un 10% di blending per arrivare in futuro al 20% (o più) per volume. In questo senso è noto che da alcuni mesi, in più parti del mondo, sono stati avviati test per capirne condizioni di fattibilità (anche in termini di risposta prestazionale delle pipeline coinvolte).

Anche secondo l’opinione di due organismi sovranazionali come il Consiglio dei regolatori europei dell'energia (CEER) e l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER) il riutilizzo di reti gas esistenti per il trasporto di idrogeno blending o puro può rivelarsi particolarmente efficiente in termini di costo. Questa soluzione, infatti, permetterebbe di evitare sia i costi di decommissioning, sia quelli di realizzazione di una nuova infrastruttura (Laboratorio Ref Ricerche).

Ugualmente l’International Energy Agency ritiene probabile che i gasdotti rappresentino la scelta a lungo termine più conveniente per la distribuzione locale di idrogeno se vi è una domanda sufficientemente ampia, sostenuta e localizzata. Non solo. L’IEA calcola che per distanze inferiori a 1.500 km, il trasporto di idrogeno tramite gasdotto rimanga l'opzione più economica. Oltre, invece, è probabile che la spedizione di idrogeno sotto forma di ammoniaca o LOHC (Liquid organic hydrogen carriers) risulti più conveniente tuttavia, con degli importanti dubbi legati ai costi di riconversione, alla sicurezza e anche a proteste da parte dell’opinione pubblica preoccupata di possibili incidenti.

Torniamo all’associazione EBH. Un documento della primavera 2021, dopo aver aggiornato le stime del costo di repurposing – cioè la conversione dei gasdotti in idrogenodotti – ha stimato il costo medio di trasporto in Europa nell’ordine degli 0,11-0,21 EUR/kg di idrogeno. In ogni caso, a corroborare questo indirizzo strategico vi sono anche i numeri: nel mondo, attualmente, ci sono circa ben 3 milioni di km di gasdotti contro i soli 5mila km di “idrogenodotti”, quasi tutti essenzialmente pensati per soddisfare esigenze industriali degli impianti chimici e di raffineria.

Quindi la via, almeno da un punto di vista teorico, pare tracciata. Ma è dunque sufficiente rivolgere l’attenzione e le risorse all’adeguamento delle reti? La risposta è no. Alla parte tecnica (adeguamento e adattamento) ne va affiancata un’altra, altrettanto importante e di natura normativa. Il quadro regolatorio deve evolversi e tenere il passo dello sviluppo del mercato. Senza norme, c’è il forte rischio di ritardi, paralisi o, peggio, di errori. L’impegno di risorse e di mezzi per portare l’idrogeno a protagonista della transizione energetica necessita di regole chiare e condivise. Ma non solo. Le regole devono essere anche sincronizzate, specialmente fra i governi dell’Unione europea così che non si creino ostacoli o barriere.

Quella normativa si pone come una precondizione per portare investitori e gruppi privati a investire in questa che è una sfida di grande portata e, in ultima, analisi, per far decollare quella che viene già chiamata “economia dell’idrogeno”.