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Carbon Footprint, uno strumento per gestire la tematica del cambiamento climatico

Ago. 4 2020

Il periodo 2015-2019 è stato uno tra i più caldi per il nostro pianeta, si è registrato un aumento della temperatura di 1,1°C rispetto al periodo preindustriale e di 0,2°C in rapporto al quinquennio precedente. Nello stesso periodo le emissioni di CO2 e la concentrazione in atmosfera dei principali gas serra hanno segnato tassi di crescita superiori al 20% (World Meteorological Organization). A ciò si aggiungono fenomeni quali scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, desertificazione, eventi metereologici estremi e violenti. Se nei prossimi anni tali valori continueranno a crescere allo stesso ritmo, entro il 2030 l’aumento della temperatura media globale sarà superiore di 1,5 °C, raggiungendo così la soglia massima di sicurezza entro la quale il cambiamento climatico potrà essere ancora contenuto e gestito, seppure con grandi spese di denaro e risorse. Le cause del Climate Change sono note e riconducibili alle attività umane e produttive come la generazione di elettricità e calore (25%), l’agricoltura e l’utilizzo del suolo (24%), la produzione industriale (21%), i trasporti (14%), altre tipologie di produzione di energia (10%) e le costruzioni (6%).

Indipendentemente dalla causa che ha innestato tali mutazioni, non è possibile restare indifferenti agli effetti. Ciascuno, nel suo privato può scegliere di adottare pratiche e comportamenti volti a ridurre o contenere le emissioni: utilizzare la bicicletta come mezzo di trasporto urbano o il treno al posto dell’aereo o ancora scegliere di ridurre il consumo di carne. Ma, nonostante le buone intenzioni, sforzi individuali di questo tipo, seppur lodevoli, sono insufficienti rispetto al bisogno di contenimento delle emissioni e quindi al controllo della temperatura. Se ne è avuta prova durante i primi mesi di quest’anno quando, a causa delle misure restrittive imposte per contenere la pandemia da coronavirus, molte attività produttive sono state chiuse e i dipendenti di imprese e aziende in tutto il mondo hanno smesso di recarsi in ufficio.

Secondo lo studio “Temporary reduction in daily global CO2 emissions during the COVID-19 forced confinement” (Nature Climate Change) tra gennaio e aprile 2020, le emissioni di CO2 nel mondo si sono ridotte di più di un miliardo di tonnellate (stimate) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tale diminuzione improvvisa ha riportato le emissioni globali ai livelli registrati nel 2006. Lo studio, però, prevede che tali soglie non verranno mantenute e ipotizza, piuttosto, un’impennata legata al tentativo di rilancio dell’economia, non appena la situazione si sarà ovunque normalizzata. Prova che, le azioni di riduzione delle emissioni, per essere realmente efficaci e incisive sul lungo periodo devono essere organizzate a livello globale, continuate e costanti nel tempo.

Con questo intento, i governi stanno provando da tempo ad adottare provvedimenti in modo coordinato. Ne è un esempio il Green Deal, l’ambiziosa politica della UE in materia di sostenibilità ambientale; essa, tra le varie misure, prevede che entro il 2050 i Paesi europei azzerino le proprie emissioni inquinanti nette, rispettando le tappe intermedie del 2030 e 2040. Coerentemente con tale strategia, le conclusioni del recente Consiglio Europeo del 21 luglio 2020 includono un obiettivo climatico in base al quale destinare al sostegno degli obiettivi climatici almeno il 30% delle risorse messe a disposizione nell’ambito del Recovery Fund (Next Generation UE).

Che la sostenibilità sia sempre più legata allo sviluppo economico, lo attesta inoltre l’interesse crescente da parte della finanza che include elementi di responsabilità sociale e ambientale fra i criteri con i quali valuta la profittabilità di un investimento. I numeri sono chiari: il Global Sustainable Investment Alliance Report (GSIA) parla di 31 miliardi di dollari investiti. Con Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone e Australia in testa. Un tasso di crescita con percentuali superiori al 30% e che sembra non arrestarsi.

Ma, guardando alle aziende, di medie e grandi dimensioni, quali percorsi possono essere intrapresi per ridurre le emissioni legate allo svolgimento di attività produttive e all’erogazione di servizi? Un primo passo è il calcolo della Carbon Footprint (CF) cioè della misura del contributo dato da attività umane al fenomeno del Climate Change. La misura di tale contributo è espressa in termini di quantità di gas ad effetto serra (GHG) emessa in atmosfera. La Carbon Footprint può essere calcolata in riferimento ad ambiti differenti: una persona (stile di vita), un evento, un comparto economico, una nazione, una città.

Nell’analisi e nel computo della CF, Bureau Veritas Nexta propone differenti percorsi, dedicati specificatamente all’ambito Corporate, applicando il calcolo della Carbon Footprint secondo due modalità: Carbon Footprint di Organizzazione e Carbon Footprint di Prodotto.

La prima, di Organizzazione, è finalizzata al calcolo delle emissioni di CO2eq prodotte nel corso di un anno da tutte le attività svolte direttamente da un’organizzazione, da quelle che sono state sotto il suo controllo/influenza o per le quali l’organizzazione esaminata detiene un interesse economico. Il risultato è la definizione di un inventario standardizzato delle emissioni di gas serra, suddiviso tra le diverse fonti emissive considerate. Il processo di analisi è organizzato in quattro step consecutivi:

1. Impostazione dell’analisi (confini organizzativi, operativi e temporali). In questa fase le sorgenti emissive oggetto di analisi vengono classificate all’interno di ambiti o “scope” e standardizzati per consentire un’uniformità di analisi. In particolare, verranno prese in considerazione le emissioni dirette, quelle indirette ed altre tipologie di emissioni.

2. Identificazione delle sorgenti emissive. Per ciascun sito incluso nei confini organizzativi, si effettua una mappatura di tutte le attività che producono emissioni di GHG.

3. Acquisizione ed elaborazione dati (consumo materiali, energia...) per determinare la quantità di GHG emessa. A questo scopo vengono applicati opportuni fattori di calcolo (fattori di emissione e fattori di caratterizzazione), riconosciuti e affidabili. L’elaborazione stabilirà la quantità di emissioni per tipologia di ambito (scope), fonte di emissione, stabilimento, tipologia di GHG e totali di organizzazione.

4. Definizione dell’inventario e Reporting.

La seconda invece, Carbon Footprint di Prodotto, è lo studio delle emissioni di GHG derivanti da tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto. La Carbon Footprint di Prodotto è un’applicazione particolare del Life Cycle Assessment (LCA). Nel corso di quest’analisi viene preso in considerazione ogni passaggio del ciclo di vita del prodotto, dalla fase Upstream riguardante i processi correlati alla Supply Chain (estrazione, produzione e lavorazione di materie prime, semilavorati e vettori energetici), a quella Core (trasporto delle materie prime e processi produttivi) fino alla fase Downstream (distribuzione ai consumatori, utilizzo e fine vita del prodotto).

In entrambi i casi, sia che si scelga di calcolare la Carbon Footprint a livello aggregato di Organizzazione, sia che si decida di analizzare le emissioni derivanti dal ciclo di vita di un determinato prodotto, i vantaggi sono molteplici.

Alcuni di essi possono essere ricondotti al miglioramento della gestione interna, all’identificazione di azioni strategiche o all’efficientamento dei processi (riduzione dei consumi energetici, gestione dei rifiuti, organizzazione dei processi logistici). Sostenendo inoltre nella scelta di obiettivi di sostenibilità da raggiungere nel breve e medio periodo.
Altri invece sono direttamente legati ad una gestione di tipo esterno. Conoscere e monitorare le proprie emissioni di anno in anno permette di comunicare i dati positivi all’esterno, riducendo informazioni complesse a risultati chiari, oggettivi e immediatamente comprensibili e inserendoli, eventualmente, all’interno dei Report annuali di sostenibilità. Supportando, in questo modo, il posizionamento dell’azienda o del prodotto all’interno di un orizzonte di sostenibilità.

Va poi considerato che la quantificazione e la gestione dell’impronta di carbonio a livello di impresa sono parametri ai quali istituzioni finanziare e investitori prestano sempre maggiore attenzione in riferimento alle proprie strategie di investimento. Inoltre, intraprendere un percorso di valutazione e gestione della propria Carbon Footprint consente di anticipare eventuali future iniziative legislative o vincoli normativi introdotti da regolatori nazionali e internazionali.

In ultima analisi, per le aziende la Carbon Footprint si presenta da un lato come utile strumento di efficientamento e valorizzazione di organizzazione e prodotti e dall’altro, come concreta opportunità per aumentare la propria competitività e contribuire alla riduzione delle emissioni climalteranti.